Il 4 agosto moriva Marilyn Monroe e nasceva il suo mito, che sessant’anni dopo possiamo di certo giudicare, se non immortale, sicuramente duraturo. Ma mentre le donne si trasformano, si evolvono e cercano il loro spazio e riconoscimento all’interno della società ancora fortemente patriarcale, inizia ad affiorare della diva bionda un’immagine differente, lontana dagli stereotipi della star hollywoodiana, vittima di amori sbagliati e poteri forti.
Abbiamo chiesto alla scrittrice e giornalista Federica Brunini, direttrice di @thegoodlifeitalia e autrice del romanzo “La matematica delle bionde“, di accompagnarci in questo breve viaggio alla scoperta dell’altra faccia della luna: di una Marilyn forte, tenace, intelligentissima, artefice del suo destino: “Marilyn non era affatto una vittima del sistema, ma stando all’interno del sistema cercava di volgerlo a suo vantaggio” ci ha spiegato. Una donna molto differente da quella che ci è stata consegnata dopo la sua tragica morte, avvenuta, ormai le voci più autorevoli concordano al riguardo, probabilmente a causa dell’assunzione accidentale di un combinato di farmaci. Senza volontà, dunque, di suicidio.
Marilyn e la formula delle bionde
Marilyn era padrona di se stessa, a cominciare dall’immagine, che aveva costruito quasi a tavolino, con tenacia e costanza: Aveva fatto piccoli interventi estetici per ritoccare le labbra, le sopracciglia, persino l’attaccatura dei capelli, e creare la sua immagine iconica. Marilyn è fattrice del proprio mito, che crea ed alimenta. E’ la prima diva ad avere chiaro il concetto della distanza tra persona e personaggio e ne ha il controllo. Questa consapevolezza della separazione tra la sua immagine pubblica e la sua immagine privata è una caratteristica moderna – spiega Brunini, il cui ultimo romanzo si intitola La circonferenza dell’alba – E’ consapevole di chi è e di cosa mostra. Da un certo punto di vista è stata la prima dello star system a costruire un brand e metterci sopra il suo copyright. Quello che fa oggi JLo, in altri anni e con altre consapevolezze, è simile a quello che fece Marilyn, tenuto conto che stiamo parlando di una donna degli anni Cinquanta, in un contesto in cui le donne non potevano emanciparsi con facilità. Nel corso degli anni, anche grazie al potere acquisito, ha lavorato sulla propria immagine perché diventasse un’icona. Tutto nel suo volto, dalle sopracciglia alla bocca, fino ai suoi capelli ossigenati e alla pettinatura sono inequivocabilmente Marilyn. Unica e iconica: la sua immagine è quasi un’equazione. E’ questa la teoria de “La matematica delle bionde”. Perché la bionda è uno stereotipo, ma dietro può esserci anche un calcolo, come nel caso della Monroe. E’ la formula matematica dell’essere bionda e la mia teoria è che esista una “bionditudine” in ogni donna. Come se fosse un pulsante che permette di accedere alla propria femminilità: puoi fare la bionda quando ti serve, usarlo a tuo vantaggio. In questo senso Marilyn è stata la prima ad aver capito che poteva usare la propria immagine e non esserne schiava.”
Marilyn la produttrice
“Il lato intellettuale di Marilyn si rivela anche nel suo amore per Arthur Miller, lo scrittore intellettuale e di sinistra che lei adora. Marilyn era un’avida lettrice, e nella sua eredità figurano centinaia di volumi. Aveva una biblioteca personale sterminata, leggeva i classici, perché desiderosa di farsi una cultura. Non dimentichiamo che da bambina era stata abbandonata, e quindi da adulta ha cercato di recuperare, anche approfittando della cultura degli uomini della sua vita, come Miller. L’educazione da autodidatta di Marilyn è strettamente legata al suo mestiere di attrice. E proprio nel suo mestiere, la Monroe arriva a ricoprire un ruolo inedito per un’attrice della sua epoca: quello di produttrice.”
La Marilyn Monroe Productions, fondata nel 1955 e festeggiata con un grande party al Copacabana, locale in cui si esibiva Frank Sinatra, fu un affronto per le major. Agendo in questo modo e autonomamente, mise in discussione l’onnipotenza degli studios. La stampa la attaccò duramente, ma la mossa permise a Marilyn di negoziare con la Fox il suo nuovo contratto. Il suo nuovo accordo includeva un assegno per i salari residui, un nuovo stipendio di 100.000 dollari per 4 film in 7 anni e le garantiva l’approvazione della Fox per tutti i suoi progetti personali. Aveva anche il diritto di ispezione sulle sceneggiature proposte e sui registi e direttori della fotografia. La sua vittoria fu una delle prime brecce nel sistema dei grandi studios di Hollywood. Il suo posto di presidente della sua società di produzione le diede un potere molto più importante di quello della maggior parte delle attrici di quell’epoca.
Marilyn in love
“Nessuno può negare le sue fragilità: la depressione, il grande vuoto lasciato dagli abbandoni. Ma lo storytelling su Marilyn credo dovrebbe essere diverso anche sotto il profilo sentimentale – prosegue Federica Brunini – tendo a pensare che fosse una donna che ha scelto consapevolmente con chi stare. Marilyn aveva una tale rilevanza, un tale potere, che poteva decidere. Esercitava una tale fascinazione che poteva permettersi di dire si o no. Questo senza negare che venisse da una storia emotiva di abbandono, e senza neppure dimenticare che all’inizio della carriera aveva subito abusi, e ciò l’aveva sicuramente segnata.”