LUCIO DALLA, 10 ANNI DOPO

Sono passati dieci anni dalla morte di Lucio Dalla: il primo marzo del 2012, tre giorni prima del suo sessantanovesimo compleanno, scompariva un personaggio inimitabile, irresistibile e indecifrabile per la sua vocazione naturale a essere universi molteplici. La sera prima la sua ultima esibizione dal vivo, a Montreux, con la vitalità di sempre. Quella di Dalla è stata una carriera lunga cinquant’anni. Cinquant’anni trascorsi a intrecciare parole e melodie, a raccontare l’anima di un Paese tra tradizione e musica leggera.

Dalla è stato un autodidatta e non aveva particolari conoscenze teoriche eppure da ragazzo ha suonato con grandi del jazz come Chet Baker. Poi è stato capace di creare, prima ancora che uno stile, un suo codice musicale, plasmando e reinventando a suo piacimento la forma canzone. Uno così poteva nascere solo a Bologna, la città madre cui è rimasto legato per tutta la vita, culla italiana del jazz, riferimento dei giovani cantautori, centro propulsore della creatività del nostro Paese a cavallo tra gli anni 70 e 80. E non si può capire Dalla senza Bologna, quella delle osterie e di piazza Grande, uno dei più celebri luoghi della mente delle sue canzoni.

Per come si sono evolute la scena e l’industria musicali oggi non sarebbe stata possibile una carriera come la sua: un lento e tutt’altro che facile avvicinamento al successo accompagnato da una certa diffidenza nei confronti di un talento dai comportamenti imprevedibili. Alla fine il vero successo è cominciato nel 1977 con “Com’è profondo il mare” quando aveva 34 anni.

Il suo è un canzoniere di capolavori, da “4 marzo 1943” a “Piazza Grande”, passando per “Il gigante e la bambina”, “Anna e Marco”, “L’anno che verrà”, “Attenti al lupo” tra brani famosissimi e altri nascosti tra le pieghe di un repertorio straordinario. Nel frattempo coltivava interessi diversissimi, la passione per l’arte e per il cinema insieme all’amico Mimmo Paladino, la televisione, metteva in piedi, con “Banana Republic” e insieme a Francesco De Gregori, uno dei primi tour kolossal made in Italy negli stadi, si avvicinava ai suoi antichi amori operistici con “La Tosca”, aiutava Gianni Morandi a rilanciare la sua carriera con lo storico tour “Dalla Morandi”, conosceva un successo mondiale con “Caruso”.

L’ultima volta dal vivo in Italia è stato il 18 febbraio 2012 a Sanremo, quarant’anni dopo la mitica esibizione di “4/3/1943”. Era arrivato all’Ariston come padrino di PierDavide Carone nella doppia veste di direttore d’orchestra e cantante.

Sono passati dieci anni dalla sua morte e, insieme alla mancanza per l’assenza di un personaggio irripetibile, si avverte la sensazione di una presenza costante, come se non fosse mai andato via.

Fonte: tgcom24

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